70 anni dell’Istituto Giovannangelo Braschi
I SETTANT’ANNI DELL’ISTITUTO MAGISTRALE “ BRASCHI” A SUBIACO
Il Palazzo della Missione nella vita di Subiaco e delle popolazioni del Sublacense.
La generalizzazione dell’insegnamento primario in un territorio povero.
1939-2009: l’Istituto Magistrale di Subiaco compie settant’anni. Adesso un bilancio e una micro-storia sono legittimi. Dapprima fu intitolato ad Arnaldo Mussolini; ora è l’Istituto Superiore “Braschi”, con area d’influenza nell’Alta Valle dell’Aniene e nel vicino Abruzzo marsicano.
E’ in preparazione un “Annuario” speciale, con tutte le notizie ufficiali: decreto istitutivo, primi atti, elenchi, verbali di esame, relazioni, con un ovvio rilievo alla serie dei Presidi, dal Prof. Caruccio all’attuale Prof.ssa Piratoni, passando per i Presidi Avalle, Mazzoni, Vivona, Conte e Pecoraro… Qui ci occuperemo di aspetti non formali della presenza in Subiaco di questa Scuola Superiore, cioè della sua incidenza nella vita culturale ed economica e nel costume dei Sublacensi e Aniensi.
Un buon auspicio è la recente acquisizione all’uso dell’Istituto Superiore “Braschi” dell’ex appartamento del custode, opportunamente restaurato. Qui è riapparso un lunotto affrescato e la “rotonda” con il matroneo dal quale le Suore che operavano al tempo dei Padri della Missione potevano assistere dall’alto alla celebrazione della Santa Messa. (Il Palazzo della Missione si rivela sempre più una grande opera di pregio: non per nulla se ne attribuisce il progetto all’Architetto Valadier).
In un momento critico per tutta la scuola italiana, questo anniversario e queste novità pongono l’accento sul rinnovato slancio – “malgré tout”- nell’impianto culturale e nelle attività didattiche oggi promosse nell’Istituto (Liceo classico ,Scientifico,Socio-pedagogico, fino ai Corsi per manager in gestione di attività agricole…).
A proposito dei Padri della Missione, questi furono inviati nel ‘700 dalla Santa Sede perché affiancassero i Parroci e i Monaci Benedettini nell’opera di evangelizzazione continua delle popolazioni sparse per paesi e campagne isolate del territorio.
In qualche modo, il vecchio e “glorioso” Istituto Magistrale dal 1939 aveva analoghe finalità: diffondere l’alfabetizzazione completa e la formazione culturale di base in ogni angolo, nelle campagne, fino all’ultimo casolare, di tutti i residenti, soprattutto i poveri.
Questo compito è stato sostanzialmente assolto, dai Padri della Missione, nel loro tempo, per l’evangelizzazione e la promozione umana, e anche dal BRASCHI per la prima alfabetizzazione culturale di tutto il popolo.
Anzi dal popolo sono stati tratti gli alfabetizzatori, i maestri, formati presso il BRASCHI.
Prima del ’39 chi voleva proseguire gli studi oltre la scuola elementare (molti si fermavano alla terza classe) dovevano recarsi a Tivoli, a Roma o in Collegi anche molto lontani da Subiaco. Questo era possibile a pochissimi privilegiati. Chi conseguiva la Licenza Ginnasiale era considerato già ascritto alla classe dirigente locale. Quelle poche maestre – le prime sublacensi – che avevano conseguito l’Abilitazione Magistrale in Collegio, a Roma o altrove, erano considerate come veramente eccezionali, e divenivano spose dei principali professionisti.
Nel 1915 un gruppo di padri di famiglia fondò una SCUOLA TECNICA PATERNA -maschile-, che fece fare passi avanti a molti giovani ( un alunno di Ponza e un altro di Riofreddo scrissero e pubblicarono un “Pubblico saggio di matematica”). I professori erano reperiti anche sul posto, tra i pochi laureati (avvocati, farmacisti e medici). Tutti pagavano tutto. Una prima espressione di classe dirigente, istruita, occupò il posto delle tradizionali famiglie di possidenti, tutto sommato parassitarie.
I Padri Benedettini si posero il problema dell’istruzione delle élites locali e zonali, come specchio della formazione per futuri sacerdoti nel Seminario diocesano e per futuri monaci. (Le famiglie pagavano una modesta retta anche per i figli-seminaristi).E così nacque e crebbe il CONVITTO S. BENEDETTO, Liceo-ginnasio, dotato di ottima biblioteca e di attrezzature idonee, per le esigenze del tempo. La retta annuale a carico delle famiglie era notevole: non tutte potevano farvi fronte.
Scuola tecnica e Convitto S. Benedetto escludevano le famiglie e i giovani più poveri, per i quali le rette e lo spettro delle ripetizioni private a pagamento- allora ritenute inevitabili -erano un peso insopportabile. Ed escludevano le donne: professoresse e allieve!
L’Istituto Magistrale del ’39 venne incontro a questa esigenza: un istituto superiore “in loco”, con costi modesti e comunque “possibili” per famiglie povere (ma non poverissime).
Tutte le precedenti “scuole” non avevano avuto una qualche proiezione esterna e una vera incidenza nella vita, nel costume, nella mentalità e nella cultura dell’ambiente sublacense.Erano un fatto “privato” tra famiglie, studenti e professori. Il popolo intuiva che lì si stavano formando i loro futuri “signuri”! Tutto qui.
Da noi non c’erano state le esperienze, tipiche delle grandi città, per la formazione di insegnanti elementari: Scuole di Metodo, fin dal 1844; Scuole Normali, dal 1858.
Il Magistrale – al quale si passava dopo aver frequentato la Scuola Media (quasi senza rendersi conto che quella era una scelta) e dopo il discriminante e non temibile esame di ammissione alla scuola media- ebbe da subito un’importanza formidabile.
Molti sacerdoti locali, divenuti professori, toccarono con mano il significato di un insegnamento statale, pubblico, rigoroso, valutato, con Presidi e professori laici, non sempre credenti e praticanti. Questi contatti col Braschi giovarono anche a questi sacerdoti, prima legati a pratiche didattiche un po’ paternalistiche e poco orientate al confronto dialettico e alla formazione di menti critiche.
Quella scuola portò finalmente in moltissime famiglie nuovi e impensabili libri, grandi vocabolari e dizionari italiani e di lingua francese, poemi antichi, poesia classica e letteratura moderna, l’immancabile e onnipresente mitologia greca e latina ( ambigui luoghi comuni anche per i seminaristi!) e naturalmente il latino (non il greco) e la filosofia e pedagogia. Ecco, la pedagogia! Doveva essere l’asse principale del Magistrale, insieme con le Esercitazioni didattiche, professionalizzanti. Purtroppo, affidando l’insegnamento di pedagogia a professori di filosofia, la pedagogia restava in posizione ancillare. E si continuava a equivocare tra una concezione minimale della pedagogia come insieme di tecniche e accorgimenti per facilitare l’educazione e l’istruzione dei ragazzi (la pédagogie francese) e la grande pedagogia, come accompagnamento e educazione per il tempo futuro di intere generazioni, nella scuola e nella comunità-società, alla luce di grandi valori.
E poi molti professori non “sceglievano” il Magistrale: ci capitavano come per caso in base alle graduatorie provinciali presso il Provveditorati agli Studi.
Insomma, nella logica della Riforma Gentile del 1923, il Magistrale era considerato un Liceo classico in formato ridotto, anche perché durava solo quattro anni (e non cinque). Col Liceo classico c’era un confronto impossibile! In realtà somigliava molto, quanto ai programmi di studio – fatta eccezione per la pedagogia e le esercitazioni didattiche, al Liceo Scientifico.
Quando, nel 1945, con l’arrivo degli Alleati, la “defascistizzazione” dei programmi di studio italiani imposta dal pedagogista statunitense Wasburne, nei programmi del Magistrale giunse la psicologia e la psicologia dell’età evolutiva, si sarebbe dovuto configurare un corso di studi più moderno, aperto alle scienze umane, rivolto alla sperimentazione o almeno alle esperienze didattiche vere. Ma lo strabismo educazione classica/ formazione moderna culturale e professionale continuò, fino alle innovazioni degli anni ’90. La compresenza di una Scuola materna (affidata alla indimenticabile maestra Giulia Mari Mori) all’interno delle strutture del Magistrale era poco più che un’ammirata curiosità. Non stimolava seminari di osservazione e di psicologia pratica per l’età infantile. Le esercitazioni didattiche in classi di scuole elementare scadevano spesso in semplici incursioni , da parte d’intere classi del Magistrale, senza valutazioni critiche ex post.
Ma, anche se inconsapevolmente, stava nascendo un Istituto rivolto non alla semplice formazione umanistica, autosufficiente, ma a un corso di studi mirato all’azione reale educativa e scolastica, alla professione docente nella scuola elementare, la scuola di tutto il popolo. Non per nulla il titolo conseguito era immediatamente abilitante all’insegnamento.
Intanto si succedevano nel Magistrale di Subiaco Presidi e Professori provenienti da varie parti d’Italia: fu un vero arricchimento di modi, contenuti, atteggiamenti, stili di vita, nelle aule, nell’Istituto, nei ” caffè”, nelle famiglie presso cui erano pigionanti professori e professoresse (talvolta fidanzati o spose di sublacensi),che viaggiavano solo settimanalmente.
Stavolta ogni fatto dell’Istituto Magistrale “faceva notizia” e specialmente i Presidi entravano nel più mosso paesaggio culturale cittadino: il Preside Caruccio, musicista, conosciuto come estroso e geniale, primo Capo d’Istituto; il Preside Molfetta, umanista; il Preside Conte, ultraconservatore. Fino al Preside ( prima professore) Don Paolo Pecoraro.
Con il Prof. Don Pecoraro fece irruzione un modello didattico e comunicativo nuovo e travolgente rispetto ai modi tradizionali. Linguaggio diretto, espressioni “forti”, impegno culturale anche fuori dell’istituzione scolastica, grande cultura classica umanistica, letteraria (e soprattutto dantesca), frequentazione di grandi personalità della cultura e della politica del tempo bellico e post-bellico e dell’antifascismo, con la fama (mai conosciuta compiutamente, dall’ambiente locale, preti compresi) di Medaglia d’Argento della Resistenza romana. E inoltre, apprezzamento per la grande tradizione pedagogica e della relativa editoria ( il primo Armando Armando e le edizioni della facoltà di Magistero di Roma).
Era troppo per un ambiente tranquillo … Ogni battuta, ogni giudizio espresso dal Professore e poi Preside Prof. Pecoraro era commentata, ripetuta, deformata e, talvolta, imitata. Il lessico culturale classico era da lui rinnovato e proposto quasi per la prima volta a tutti e denotava una cultura alta, non solo libresca, ma all’occorrenza disinvolta e paradossale. La cultura diventava anche militante, atta a cambiare il mondo – o almeno le persone – diventando “forma di vita” e non solo ornamento della mente!
Dante era ed è una delle “specialità” del Prof. Pecoraro: le sue “Lecturae Dantis” fecero epoca. Così pure i cineforum pubblici.
Finiva un certo complesso d’inferiorità verso gli analoghi Istituti romani e tiburtini. E lo si vide subito , in occasioni di confronti tra studenti o ex studenti fuori di Subiaco e del territorio aniense. E poi nella frequenza di parecchi studenti del BRASCHI alle facoltà di Magistero, per maestri che si preparavano a diventare professori. Frequenza sostenuta con ogni mezzo e con generosità dal Prof. Pecoraro. Mancava ancora una vera cultura della comunicazione nelle lingue straniere – attraverso la nuova linguistica – e la conoscenza diretta di realtà europee ed extraeuropee. I testi classici venivano sunteggiati,se ne studiava l’antologia della critica: ma le letture dirette e complete erano poche, tranne che per Divina Commedia. Quanti sublacensi avevano visitato grandi città italiane ed europee? Pochi. Ma quello era un male italiano, conseguenza dell’antica povertà e della lunga autarchia culturale, specialmente nel ventennio fascista. Non possiamo fare un errore di anacronismo, imputando alle realtà degli anni ’40 e ’50 conquiste successive, anche in sedi privilegiate.
Senza troppa pubblicità, il BRASCHI ebbe un proprio INNO D’ ISTITUTO, una corale e una filodrammatica, inventò delle mini-olimpiadi di atletica leggera e la partecipazione ai Giochi della Gioventù. Alcuni studenti impararono i primi elementi per suonare il pianoforte.
Nel tempo, i Presidi più “recenti” non solo non resistettero alle innovazioni, ma anzi le accolsero subito. Innanzitutto fu richiesta al Ministero della P.I. l’istituzione del Liceo Classico, unito, nella stessa Presidenza, al vecchio tronco dei Magistrale. La si ottenne con qualche difficoltà, data la rarità dei “precedenti” specifici in Italia. Poi il Magistrale divenne “Nuovo quinquennio sperimentale a indirizzo psico-pedagogico e linguistico”.
Aderì alle sperimentazioni nazionali BROCCA, infine al Liceo delle Scienze sociali e ai corsi d’informatica. Divenne Scuola –polo IRRSAE. Attualmente la panoplia dei corsi e attività è molto vasta. Ci sono corsi quasi “à la carte”, anche sulla scorta delle indicazioni del mercato del lavoro.
Sul filo della memoria, ecco vari professori che non sono passati inosservati, dentro e fuori il Braschi: Umberto Serafini, grande europeista, specialista della figura e dell’insegnamento di Ghandi; Don Gaetano Sibilia, “memoria storica” dell’Istituto per moltissimi anni, autore di una sintassi latina; Angelo Antonica, letterato con la passione per la filosofia; Franco Matacotta, poeta della “Fisarmonica rossa”, dichiaratamente di sinistra, ma già allora critico della stessa tradizione “social – comunista”. Gli alunni e le alunne avevano vari modelli, esempi e stili umani e culturali a cui riferirsi, e ciò è vera pedagogia: “una testa più ben fatta che ben piena”!
Tra gli ex-alunni – i maestri – molti sono noti e apprezzati come generosi portatori dell’alfabeto nei paesi intorno a Subiaco, nel Lazio, ma in seguito pure a Roma e in tutta Italia.
La prima generazione di questi insegnanti era molto motivata, raggiungeva a piedi le scuolette di frazioni campestri, e i paesi del Circondario. In seguito la “cinquecento” e poi“seicento” divenne il mezzo di trasporto comunissimo per i maestri e maestre. Molti di essi si dedicarono all’Amministrazione civica nei loro Comuni, divenendo una nuova classe dirigente più vicina al popolo. Alcuni divennero i primi Assistenti Sociali. E leggevano, leggevano,studiarono materie anche non scolastiche. Diritto ed economia mancanti bel curricolo del Magistrale, furono da loro scoperti, insieme con la storia delle dottrine politiche. O frequentarono l’Università . Quei soli quattro anni invece di cinque anziché generare frustrazione, sembravano un propellente per studiare, frequentare, leggere..Poi, man mano che il prestigio sociale dei maestri decadeva dappertutto, questi docenti pendolari non si sentirono più portatori di una cultura, comportamenti e idee modernizzanti, ma solo dei lavoratori della scuola. Qualcuno allora li bollò di “proletari” dell’educazione e della scuola. Ma molti sono ancora sulla breccia, imitando nella misura del possibile, i grandi educatori e metodologi e la forte ispirazione popolare e cristiana di Don Lorenzo Milani. Forse, ora, nel 2009, si sta riconsiderando l’importante funzione della docenza nella scuola di tutti. Maestri unici – o meglio nel team – essi diventano di nuovo figure professionali indispensabili. Dall’anno scolastico 2009 -10 il “Braschi” è retto dalla preside Giacoma Missimei, psicologa, proveniente dall’Istituto Comprensivo di Vicovaro.
Già S. Agostino racconta che il suo maestro elementare fu fondamentale per lui perché lo fornì di strumenti di base (“leggere, scrivere, far di conto”) per poter continuare il suo percorso di studi, evitando le trappole della cultura pagana del suo tempo. S. Tommaso Moro, a uno che si lamentava perché era soltanto uno sconosciuto maestro, disse che poteva comunque essere un “grande maestro”!
Il Magistrale BRASCHI ha aiutato i poveri ad aiutare i poveri nell’alfabetizzazione di base, nella cultura, nella coscienza dei loro diritti e della loro dignità. L’analfabetismo strumentale – anche per i corsi di scuola popolare – è cessato nel territorio negli anni ’70. E oggi, a settant’anni di vita, con ben altre possibilità e modernissime strutture, l’Istituto Superiore Braschi continua a fare la sua parte.
G.C.